INTERVISTA


Signor Lippi, avrebbe mai pensato di allenare l’Italia?

Ognuno di noi deve avere dei sogni. Quando ho cominciato a giocare a pallone sognavo di diventare calciatore di serie A, come voi. Quando diventi calciatore di serie A, sogni di andare in una grande squadra, e poi in Nazionale. Lo stesso accade se diventi allenatore; vuoi allenare una grande squadra, e poi vuoi arrivare alla Nazionale. Io sono riuscito a fare l’uno e l’altro; per me la Nazionale era una cosa magica: ho coronato un sogno.

Dopo la Nazionale cosa pensa di fare?


Non mi piace tanto fare programmi a lunghissima scadenza. Mi rendo conto che per continuare ad allenare la Nazionale bisogna avere buoni risultati. Di sicuro continuerò a fare l’allenatore, o in Nazionale o da qualche altra parte.
Non ha nostalgia di ogni domenica in campo?

No, proprio per niente. Ma proprio perché ho la Nazionale; se non l’avessi e non lavorassi, sicuramente dopo un po’ di tempo avrei nostalgia. Poi ogni domenica vedo le partite in televisione (non vado mai allo stadio), le registro tutte e le guardo durante la settimana; col pensiero alla Nazionale non ho, per ora, nessuna nostalgia del Campionato italiano.

Ha mai marinato la scuola per il calcio?


Sarebbe più esatto dire quante volte sono andato a scuola invece di giocare a calcio… In effetti la marinavo, ma devo dire che abitare qua a Viareggio stimola di più a non andare a scuola: si esce di casa, c’è la pineta, una bella giornata, gli amici, il mare, magari non hai studiato tanto e hai paura di essere interrogato… Se arrivano gli altri e ti chiedono di andare a giocare a pallone, ci vai. Ma devo anche dire che sono molto pentito di questo; anche se in una maniera o nell’altra mi sono fatto una discreta cultura generale da solo, sento che mi manca un livello di istruzione importante, che viene soltanto con la scuola. In più, poiché a quei tempi tutti studiavano francese, un’altra cosa che mi è mancata è l’inglese.
Cosa diceva la mamma quando tornava a casa con la pagella?

I miei genitori si arrabbiavano, ma avevano capito che la mia vera passione era il calcio. Mia mamma mi racconta che quando mi mettevano in una stanza a studiare, non resistevo più di tre minuti con la testa sui libri; poi cominciavo a guardare in aria o ad affacciarmi alla finestra, insomma, non ci riuscivo proprio.

Le maestre e i professori che ha avuto erano bravi?


Mi ricordo poco dei maestri o professori. Ricordo una maestra che si chiamava Lucchesi, poi il professore di stenografia all’istituto tecnico. Purtroppo le materie che avevano bisogno di grande applicazione mi stancavano subito.
Come se la cava con computer e Internet?

È come con l’inglese, che dicevamo prima. Mi è mancato a livello scolastico, e quindi non lo so usare molto bene. A parte che a me piace molto scrivere, con carta e penna. Pensate che io ho cominciato ad allenare la primavera nel 1982, e ho in casa mia tutte le note di tutti allenamenti che ho seguito, tutti giorni, sia prima sia dopo l’allenamento stesso. Figuratevi che al cinema, con mia moglie, mi succede di chiederle una penna per segnare uno schema che mi è venuto in mente proprio in quel momento. Non sono certo l’unico, tanti allenatori fanno così.

È cambiato molto il calcio, dall’82?


Certo, com’è cambiata la musica, il cinema, la vita, la moda, così è cambiato il calcio. Quando giocavo io si giocava in modo completamente diverso, sia come preparazione atletica sia come tattica. Non sono d’accordo però che i giocatori italiani siano troppo fallosi, né che entrino per far male; lo sono quanto i loro colleghi negli altri campionati. Secondo me gli arbitri sono troppo permissivi per quanto riguarda certi falli e soprattutto nei riguardi della maleducazione dei giocatori, che si rivolgono agli arbitri o ai guardialinee in maniera offensiva. Infatti mi preoccupa un po’ la differenza di atteggiamento degli arbitri del mondiale rispetto a quelli italiani.
Da piccolo, quale regalo l’ha più colpita?

Io non appartengo a una famiglia molto ricca, per questo il dono che ricevevo, di solito all’Epifania, era una cesta con un po’ di carbone dolce. Ricordo anche un fantastico cinturone con la pistola. Poi ho ricevuto tanti altri regali magari più belli, ma quelli li ricordo con particolare soddisfazione perché erano il frutto di un sacrificio.

E il primo impatto con il “vero” calcio?


Io sono andato alla Sampdoria, la mia prima squadra, quando avevo solo quindici anni. E mi ricordo che il primo settembre, il giorno della partenza, era ancora estate piena. Ma mia madre mi volle a tutti costi mettere il vestito buono, che era molto pesante e aveva anche la cravatta. Insomma, avevo un gran caldo.
Che sport avrebbe scelto, invece del calcio?

Gli sport che mi piacciono sono quelli legati al mare, dal nuoto al surf al windsurf. Con quest’ultimo ci ho provato, ma non sono riuscito neppure a salirci in ginocchio; insomma, ogni sport ha la sua età. Anche fare immersioni è meraviglioso.

Come ha conciliato gli impegni di calciatore con quelli di famiglia?


Quando mi sono creato una famiglia giocavo ancora in una squadra professionista, i bambini erano piccoli e stavamo tutti assieme. Come allenatore, fino a che i ragazzi sono stati piccoli ci siamo sempre spostati tutti assieme; quando hanno avuto 14-15 anni, ho ritenuto che non fosse giusto spostarli con me, perché voleva dire cambiare scuole, simpatie e amicizie magari tutti gli anni. Da allora sono rimasti a Viareggio, e io ho fatto il pendolare.
Legge giornali sportivi o libri?

Leggo tutti e tre i giornali sportivi più un quotidiano politico. Poi leggo tante riviste scientifiche, che parlano di preparazione atletica, medicina sportiva e psicologia dello sport. Leggo anche qualche libro, e mi piacciono gli scrittori che sono un po’ sulla bocca di tutti. Per esempio, m’è piaciuto un volume sui misteri che ho trovato in edicola: trattava tutte le cose sconosciute del mondo, dal triangolo delle Bermuda alle piramidi.

A Carnevale si mette in maschera?


A dire la verità no, ma se dovessi partecipare a una festa mascherata forse mi vestirei da capitano Nemo, il protagonista di “20.000 leghe sotto i mari”.
Qual è stato lo striscione più bello, e quello più brutto, che ha visto nella sua carriera?

A dire la verità, quando sono in campo non guardo molto agli striscioni. Però me ne ricordo uno quando il Napoli vinse lo scudetto. Dietro lo stadio c’era un piccolo cimitero, e i tifosi del Napoli appesero all’esterno dello stadio, rivolto verso il cimitero, uno striscione che diceva: “Che cosa vi siete persi”. I peggiori in assoluto sono invece sono quelli neonazisti, apposti l’anno scorso a Roma.

A quale trofeo rinuncerebbe pur di vincere questo mondiale?


Non rinuncerei a niente, perché ogni trofeo vinto è un periodo con tante cose belle, tanti sacrifici, tanta volontà, con tanta attenzione; rinunciare a un trofeo vorrebbe dire rinunciare a tutto questo, e non è giusto. Certo sarebbe una cosa fantastica vincere, ma non rinuncerei al passato.